Anarchicamente interrogo la realtà escogitando come “rivoluzionarla”. Ma la mia “rivoluzione” non è concepita né come “evento” né come strumento di sostituzione del detentore del potere, del principio di autorità. La rivoluzione come evento, anzi, per me è contraria all’essenza stessa dell’anarchia, la quale, lontana da ogni forma di disordine sociale, vuole invece instaurare un ordine fondato sulle virtù degli uomini e non sui vizi, su norme etiche fortemente ed eroicamente autoimposte, secondo un’idea di autogoverno intimo, di assunzione di responsabilità radicale, in piena libertà. Rivoluzione come evento significa reiterare la logica dell’autorità imposta e il principio del dominio di un individuo sull’altro, investendo sempre nuovi protagonisti (lo stato, la chiesa, gruppi di potere, uomini, donne, società) del diritto di comandare e dominare attraverso l’esercizio della forza, della violenza, della coercizione. Per ciò la rifuggo. La rivoluzione che ho in mente invece ha a che fare con un processo storico meditato, come “mutazione culturale dell’immaginario sociale collettivo”.
Come disse Gandhi: “anch’io sono un anarchico, ma di altra specie”.
Cosa devono essere i nuovi anarchici secondo me?:
Irriducibili partigiani della libertà e della non violenza.
“Se sono modestamente un anarchico è perché l’anarchia prima ancora che un’appartenenza, un catechismo, un decalogo, un dogma, è un modo di essere, uno stato dell’anima, una categoria dello spirito”.
Contenta di aver letto, e percepito il respiro, vorrei solo aggiungere Bertrand Russell, per il quale l’azione rivoluzionaria può non essere necessaria ma il pensiero rivoluzionario è indispensabile.
E vorrei adagiare una nota, una piccola nota sulla responsabilità, per la quale trovo amabile l’uso dell’aggettivo “radicale”. Rispondere è un abito dell’anima, qualcosa di sacerdotale: se potessimo togliere questo sacerdozio a ogni religione, e farne una semplice posa fraterna.
Rossella M. T.
Che strano! Ho scritto su B. Russell una critica feroce a proposito di un suo scritto. Ma in quest’occasione condivido. Quanto all’aggettivo “radicale” io LO SONO. Intimamente. Ma tu chi sei, Rossella M.T.? Grazie per il bel commento.
M.
Di Russell mi interessa il cosmopolitismo oltranzista. I nazionalismi infatti mi incutono ancora cupe interrogazioni, e timore.
Leggere la tua feroce critica mi farebbe piacere, se fosse possibile.
Essere intimamente radicali è qualcosa che comprendo. Io sono una che cerca disperatamente di imparare il nome degli alberi.
Rossella