L'ARTE E LA GUERRA
Libro fotografico con testi introduttivi sull'esperienza artistica in territorio di guerra.
Il libro fotografico “L’arte e la guerra” di Massimo Ferrando e Alessandra Giacardi nasce a seguito della mostra omonima realizzata a Verbania nel 2023 con la finalità di narrare il loro progetto per un nuovo parco archeologico e artistico a Karkemish (Turchia sud-orientale, sul confine turco-siriano, margine nord-ovest della Mesopotamia) a cura del Prof. Nicolò Marchetti dell’Università di Bologna - Alma Mater Studiorum, durante il periodo della tragica guerra civile siriana, in un’area disseminata di mine anti-uomo.
L’ARTE E LA GUERRA
Un nuovo parco archeologico sul confine turco-siriano
A trenta chilometri da Kobane, sul confine più “caldo” del globo, il progetto realizzato per un nuovo parco archeologico nell'antica città di Karkemish (moderna Karkamış, Gaziantep, Turchia sud-orientale), sulla sponda occidentale dell’Eufrate, indirizza un’area avvilita dal conflitto verso una nuova possibilità di sviluppo. L’“arte e la guerra” è contemporaneamente un progetto di architettura, un esperimento di design e un intervento di land art dai forti contenuti simbolici. Prendendo le mosse dall'interazione con gli archeologi e con la comunità locale, i progettisti hanno optato per interventi dal basso impatto ambientale, attraverso la rivisitazione di tipologie regionali, per offrire al turista l'impressione di un progetto pensato per entrare dialetticamente in rapporto con il luogo. Ma il tratto qualificante dell'intervento, articolato per trasformare idealmente un’intera area sottosviluppata, è l’intervento che mira non solo a recuperare gli archetipi dell’architettura secondo un’indagine storica dei percorsi e dei modelli tipologici dell’antica città sepolta, ma anche a fare immaginare un’alternativa alla guerra e alle sue armi di distruzione.
Il nuovo parco sorge in un’area dal fascino ineguagliabile. Qui l’Eufrate scorre lento da migliaia di anni e una fitta vegetazione anima gli isolotti e le sponde del fiume in un contrasto di ambienti e colori tipicamente mesopotamici. Il sito archeologico sorge dunque in un’area fortemente caratterizzata e il progetto del parco tenta di dialogare con i reperti e con l’ambiente naturale che li contiene da millenni, conservandoli. Una “sottile linea rossa” indirizza il visitatore in un cammino a ritroso nella storia, fra gli scavi e, idealmente, in avanti verso nuovi orizzonti possibili, accompagnandolo e indirizzandolo secondo un percorso di visita pensato per coprire l’intera area di scavo e i maggiori punti panoramici; un nuovo portale in pietra (“La soglia”), eco di menhir e della loro ieratica presenza, individua un varco attraverso il quale superare tutti i confini; “Border” (Confine), è l’opera infine che vuol fare riflettere sulla storia, quella antica riemersa in fase di scavo ma anche quella recente, quella cioè che ha a che fare tragicamente con i simboli di ogni guerra: il muro come separazione fra i popoli, gli estremismi come limite mentale dell’agire umano, le mine antiuomo come l’estremo e diabolico desiderio di distruzione. Trenta steli rossi conficcati nel terreno al posto delle mine ritrovate sotto la polvere ondeggiano sotto l’azione del vento e diffondono nell’aria un ripetitivo suono di campanelli, riconducendo il pensiero ai sussurri dei profughi che a decine di migliaia negli ultimi quattro anni hanno attraversato l'ex campo minato; le trenta luci che si accendono al calare del sole e si confondono con il cielo stellato di un Medio Oriente ferito da eterni conflitti, interrogano sulla possibilità di operare una sostituzione che non è solo materiale ma anche simbolica ed è dunque anche un cambiamento di prospettiva mentale: con l’arte, attraverso l’arte, quella distanza che separa l’uomo dal suo abisso viene così idealmente e poeticamente colmata.
Il libro fotografico “L’arte e la guerra” di Massimo Ferrando e Alessandra Giacardi nasce a seguito della mostra omonima realizzata a Verbania nel 2023 con la finalità di narrare il loro progetto per un nuovo parco archeologico e artistico a Karkemish (Turchia sud-orientale, sul confine turco-siriano, margine nord-ovest della Mesopotamia) a cura del Prof. Nicolò Marchetti dell’Università di Bologna - Alma Mater Studiorum, durante il periodo della tragica guerra civile siriana, in un’area disseminata di mine anti-uomo.
L’ARTE E LA GUERRA
Un nuovo parco archeologico sul confine turco-siriano
A trenta chilometri da Kobane, sul confine più “caldo” del globo, il progetto realizzato per un nuovo parco archeologico nell'antica città di Karkemish (moderna Karkamış, Gaziantep, Turchia sud-orientale), sulla sponda occidentale dell’Eufrate, indirizza un’area avvilita dal conflitto verso una nuova possibilità di sviluppo. L’“arte e la guerra” è contemporaneamente un progetto di architettura, un esperimento di design e un intervento di land art dai forti contenuti simbolici. Prendendo le mosse dall'interazione con gli archeologi e con la comunità locale, i progettisti hanno optato per interventi dal basso impatto ambientale, attraverso la rivisitazione di tipologie regionali, per offrire al turista l'impressione di un progetto pensato per entrare dialetticamente in rapporto con il luogo. Ma il tratto qualificante dell'intervento, articolato per trasformare idealmente un’intera area sottosviluppata, è l’intervento che mira non solo a recuperare gli archetipi dell’architettura secondo un’indagine storica dei percorsi e dei modelli tipologici dell’antica città sepolta, ma anche a fare immaginare un’alternativa alla guerra e alle sue armi di distruzione.
Il nuovo parco sorge in un’area dal fascino ineguagliabile. Qui l’Eufrate scorre lento da migliaia di anni e una fitta vegetazione anima gli isolotti e le sponde del fiume in un contrasto di ambienti e colori tipicamente mesopotamici. Il sito archeologico sorge dunque in un’area fortemente caratterizzata e il progetto del parco tenta di dialogare con i reperti e con l’ambiente naturale che li contiene da millenni, conservandoli. Una “sottile linea rossa” indirizza il visitatore in un cammino a ritroso nella storia, fra gli scavi e, idealmente, in avanti verso nuovi orizzonti possibili, accompagnandolo e indirizzandolo secondo un percorso di visita pensato per coprire l’intera area di scavo e i maggiori punti panoramici; un nuovo portale in pietra (“La soglia”), eco di menhir e della loro ieratica presenza, individua un varco attraverso il quale superare tutti i confini; “Border” (Confine), è l’opera infine che vuol fare riflettere sulla storia, quella antica riemersa in fase di scavo ma anche quella recente, quella cioè che ha a che fare tragicamente con i simboli di ogni guerra: il muro come separazione fra i popoli, gli estremismi come limite mentale dell’agire umano, le mine antiuomo come l’estremo e diabolico desiderio di distruzione. Trenta steli rossi conficcati nel terreno al posto delle mine ritrovate sotto la polvere ondeggiano sotto l’azione del vento e diffondono nell’aria un ripetitivo suono di campanelli, riconducendo il pensiero ai sussurri dei profughi che a decine di migliaia negli ultimi quattro anni hanno attraversato l'ex campo minato; le trenta luci che si accendono al calare del sole e si confondono con il cielo stellato di un Medio Oriente ferito da eterni conflitti, interrogano sulla possibilità di operare una sostituzione che non è solo materiale ma anche simbolica ed è dunque anche un cambiamento di prospettiva mentale: con l’arte, attraverso l’arte, quella distanza che separa l’uomo dal suo abisso viene così idealmente e poeticamente colmata.
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